L’ipertiroidismo è la sindrome derivante da un eccesso di ormoni tiroidei nel circolo ematico. Fra le cause vanno ricordate alcune forme comuni come il gozzo tossico diffuso o morbo di Basedow-Graves, l’adenoma tossico (di Plummer), il gozzo multinodulare tossico ed altre forme più infrequenti (tiroidite subacuta, tiroidite post-partum, ipertiroidismo iatrogeno, Hashitossicosi o tiroidite di Hashimoto).
Segni e sintomi
I sintomi più evidenti nell’uomo sono:
- Perdita di peso;
- Affaticamento;
- Indebolimento;
- Iperattività;
- Irritabilità;
- Apatia;
- Depressione;
- Poliuria;
- Sudorazione;
- Palpitazioni, tachicardia e aritmia (specialmente fibrillazione atriale);
- Dispnea;
- iInfertilità;
- Calo del desiderio;
- Nausea;
- Vomito;
- Diarrea.
Nella vecchiaia, questi classici sintomi potrebbero non comparire e potrebbero presentarsi solo con l’affaticamento e la perdita di peso.
Ipertiroidismo e metabolismo
Uno degli effetti primari negli ipertiroidei è la stimolazione della calorigenesi, come aumento del metabolismo basale. A livello del mitocondrio, arrivano NADH+ e FADH2 che trasportano gli elettroni fino all’ossigeno, O2, riducendolo a O= con formazione di acqua e contemporaneamente di energia. In seguito alla reazione di ossido-riduzione vengono liberati protoni che determinano un gradiente di concentrazione tra l’interno e l’esterno della matrice mitocondriale. La differenza di gradiente che si instaura determina l’attivazione di una pompa protonica. Vicino alla citocromo ossidasi è presente un complesso enzimatico, formato dall’ ATP sintasi e da due monomeri, F0 e F1, che costitiuscono un canale di membrana. Il passaggio dei protoni attraverso il monomero F0 determina un cambiamento conformazionale nel monomero F1 e contemporaneamente la produzione di ATP da parte dell’ATP sintasi. Quando si verifica iperproduzione di ormoni tiroidei T3 e T4, questi si comportano come agenti disaccoppianti stimolando la produzione di una proteina, la TERMOGENINA, che forma un canale da cui i protoni rientrano nella matrice, facendo si che l’energia liberata, non venga convertita in ATP ma dissipata sotto forma di calore.
Diagnosi
La diagnosi avviene tramite il rilievo di un incremento ematico delle frazioni libere degli ormoni tiroidei (FT3, o free-triiodotironina ed FT4, o free-tetraiodotironina), associato ad un abbassamento dell’ormone tireotropo (TSH, Thyroid Stimulating Hormone) (ipertiroidismo conclamato).
L’abbassamento del TSH (“soppressione” in gergo endocrinologico) deriva dalla controregolazione negativa a livello adenoipofisario, dove avviene la produzione del TSH, da parte degli ormoni tiroidei (FT3 ed FT4 per l’appunto) in eccesso.
Per ipertiroidismo subclinico si intende una forma lieve di ipertiroidismo con TSH soppresso, in presenza di valori di FT3 e FT4 normali.
La diagnosi del tipo di ipertiroidismo dovrebbe poi avvenire in campo specialistico allo scopo di valutare se si tratta di forme di ipertiroidismo autoimmune (mediante dosaggio di anticorpi specifici, come anticorpi anti-recettore del TSH, AbTPO o AbTg), da farmaci (per esempio da amiodarone), oppure di forme di tireotossicosi, distruttiva (tiroidite subacuta) o iatrogena (assunzione di ormoni tiroidei). In alcuni casi altri accertamenti ematochimici (VES, Tireoglobulina) o strumentali (ecografia tiroidea con color-Doppler, scintigrafia tiroidea con iodocaptazione) possono essere utili al fine di inquadrare meglio la diagnosi.
Terapia
La terapia dell’ipertiroidismo dipende dalla diagnosi della patologia soggiacente che lo ha determinato e deve essere personalizzata.
Le modalità di cura principali per l’ipertiroidismo nell’uomo si effettua attraverso l’utilizzo di farmaci Tirostatici (farmaci che inibiscono la produzione degli ormoni della tiroide), come il metimazolo (Tapazole), carbimazolo o PTU (propiltiuracile).
Chirurgia della tiroide
La chirurgia (per rimuovere l’intera tiroide o una parte di essa) non è usata estensivamente perché la maggior parte delle forme comuni dell’ipertiroidismo sono curate in maniera abbastanza efficace con i farmaci o con lo iodio radioattivo. Comunque, pazienti che non possono tollerare i medicinali, o pazienti che rifiutano lo iodio radioattivo, optano per un intervento chirurgico. La procedura è relativamente sicura e prevede almeno nella maggior parte degli ospedali italiani, una degenza di 2-3 giorni.
Terapia radiometabolica con lo iodio radioattivo
Lo iodio radioattivo viene somministrato oralmente (sia come pillola, che come liquido) in un’unica volta, per ledere in modo irreversibile una ghiandola iperattiva. Lo iodio somministrato per la terapia dell’ipertiroidismo è l’isotopo 131; altri isotopi (come il 125) sono usati, legati a diverse molecole, per diagnostica. Lo 131I può essere comunque utilizzato (a dosaggi enormemente inferiori rispetto a quelli impiegati per la terapia) anche per procedimenti diagnostici, ad esempio nelle scintigrafie. Lo iodio radioattivo viene somministrato dopo alcuni accertamenti: innanzitutto una scintigrafia tiroidea, che permette di valutare lo stato di effettivo ipertiroidismo e l’assenza di aree “fredde”, un successivo test di captazione eseguito somministrando una dose-traccia (modestissima) di 131I ed analizzando ad intervalli regolari di tempo (solitamente 6, 24 ore) l’attività presente in tiroide (mediante strumento dedicato). Tali esami permettono quindi di calcolare in modo personalizzato l’attività da somministrare al soggetto; questa è solo una delle possibili modalità, dal momento che alcuni centri somministrano invece dosi fisse. Lo iodio radioattivo viene captato in maniera attiva dalle cellule della tiroide mediante un symporter Na/I e viene quivi immagazzinato. La morte cellulare dovuta all’effetto citotossico delle radiazioni ionizzanti avviene in tempi variabili, legati essenzialmente alla capacità della singola tiroide di captare ed immagazzinare lo iodio radioattivo stesso. Poiché lo iodio è captato quasi esclusivamente dalle cellule tiroidee, non si hanno grossi problemi di irradiamento ad altri organi: si ha una minima irradiazione a livello delle ghiandole salivari ed a livello vescicale. La metodica è stata sviluppata alla fine degli anni ’40 ed è ormai ampiamente consolidata, anche per quanto riguarda le eventuali sequele a lungo e lunghissimo termine.
Spesso il trattamento esita in ipotiroidismo. Comunque, l’ipotiroidismo è abitualmente curato con facilità mediante l’assunzione di levotiroxina.
Nella cura dell’ipertiroidismo è fondamentale il controllo periodico della terapia da parte dell’endocrinologo per mantenere una corretta funzionalità tiroidea.
Dott. Antonelli Alessandro
Direttore S.D. Medicina Interna ad indirizzo Immuno-Endocrino, AOUP, Università di Pisa.
Medico della tiroide a Pisa, per informazioni chiamare il 335 344701 o scrivere a info@antonelliendocrine.it